Personale di Rossella Baldecchi

Rossella Baldecchi è una pittrice neo-sei-sette-ottocentesca. Impasta i fondi per fare in modo che la luce vi rimbalzi sopra creando un effetto di profondità leggera, suggerisce la prospettiva con la forza delle immagini, “scava” nell’aere alla ricerca di un volto capace di raccontare una consapevole ribellione, un’improvvisa forza, una pulsione interna e profonda. Anche se riportate alla modernità, plasmate secondo un gusto da terzo millennio – i corpi sono spesso agili, i seni sono piccoli e mai debordanti, la bellezza non trova le sue forme ideali nelle rotondità e nell’abbondanza –, dipinge bambine e donne giovani e mature come fossero divinità classiche o sante, disegna la vocazione alla vita delle donne, la nobiliare forza del loro essere, soprattutto dove lo Stato, le convenzioni, le religioni o semplicemente la brutalità insita in altri esseri umani – uomini o donne che siano – le fanno assurgere a eroine, consapevoli o loro malgrado, solo per il fatto di voler far salva la propria identità e il proprio diritto di vivere, di studiare, di amare… di essere.

Diritti che, purtroppo, alcune non possono più esercitare, poiché sono le novelle martiri di questi tempi, icone della lotta contro il Male. Sante laiche e in tal guisa dipinte. E come tali corredate da attributi simbolici, scarabei di vita, camaleonti di morte e fiamme, piume e petali che volteggiano e rimandano a qualcosa di vivo che viene “sfogliato” e, ancora, tantissime farfalle, “anime belle” di chi non c’è più. Innumerevoli farfalle volteggiano e, con i loro mille colori, si lasciano ammirare, dandoci una subitanea gioia che poi s’adombra, se riflettiamo sul loro significato, appena comprendiamo che raffigurano le donne che sono state private della vita.

Protagoniste delle opere dell’artista sono le donne che studiano e che lavorano in terre difficili e ostili all’universo femminile per atavici pregiudizi o distorsioni nella lettura dei testi sacri, le giovani uccise per seguire pratiche primitive o leggi che le vogliono umiliare e le ragazze oltraggiate da un male profondo che una volta chiamavano erroneamente amore. Tuttavia, secondo una logica classica, queste figure, nel momento in cui vengono dipinte, rappresentano l’afflato divino dell’umanità, il bisogno di raccontare una storia più alta e, insieme, la voglia di dare un tocco di sano realismo al desiderio e alla necessità di pensare l’immensità, l’eternità, il senso delle cose.

Le donne baldecchiane non sono, quindi, soltanto le effigi di ritratti dal vero; prese dalla strada, dalla vita – ma chissà da dove vengono in realtà! –, le sue immagini femminili vanno così a incarnare, con una credibilità e un rapporto tra attore e personaggio che trovano riscontro storico solo nel Seicento italiano, le donne contemporanee di tutte le latitudini e regalano alle figure la veridicità del loro stato, delle loro vicende, delle loro passioni.[…]

Le figure da lei ritratte dimostrano l’incredibile modernità di questa pittrice e le piccole cose– scarabei, fiori, petali, piume e ancora e sempre farfalle–, presentate quali attributi delle “sue” donne, sono diventate nel tempo unalter ego dell’artista, sono interpreti inconfondibili di una contrapposizione tra edonismo ed etica formale, ma rimangono capaci di privilegiare l’espressione libera da qualsiasi legame politico o sentimentale, per far emergere una nuova figura d’esempio all’impegno femminile.

Anita Valentini, critica e storica dell’Arte – Presidente di ModoFiorentino Associazione culturale  

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